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James Heckman: «I valori? Iniziamo dall'identità»

di Mario Platero

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29 maggio 2009
James Heckman (Afp)

Nel 2003-2004, quando i prestiti subprime erano irrilevanti e la cartolizzazione di mutui in pacchetti incomprensibili era agli albori, si potevano ancora mettere dei freni. Non è successo. I prodotti derivati - dicevano anche le autorità più conservatrici - servono a stabilizzare le inefficienze del mercato, non hanno bisogno di regole. E intanto si continuava a correre verso il precipizio. Possibile che questo comportamento collettivo sia riconducibile a dei problemi psicologici? Possibile.

Pur seguendo strade spesso molto diverse, un gruppo di economisti punta, con uno sforzo interdisciplinare, allo stesso obiettivo: come relazionare la psicologia con l'economia per ritrovare il percorso di una crescita sostenibile. C'è chi, come Alan Krueger o Richard Easterlin, invoca un approccio economico che tenga conto della "felicità". George Akerlof e Robert Shiller hanno scritto un libro che spiega lo "spirito animale" e non "razionale" degli esseri umani e la propensione a fidarsi di storie incredibili seguendo il "gregge". E chiedono forti controlli centralizzati.

James Heckman, premio Nobel per l'economia, considerato uno dei dieci economisti più influenti del mondo, ha invece puntato sui problemi dei singoli, soffocati da parametri di successo che impediscono a certe qualità individuali di emergere. E si concentra sulla prima infanzia: «Abbiamo un caleidoscopio d'identità, solo se riusciamo a farle emergere tutte al meglio potremo massimizzare l'efficienza e lo sviluppo economico - dice in un'intervista al Sole 24 Ore –. Per questo dobbiamo puntare sulle famiglie, perché ricerche empiriche confermano che il danno più grave comincia già nella prima infanzia».

In che modo?
La prima distinzione da fare è fra le capacità cognitive da quelle non cognitive. Il nostro sistema meritocratico poggia sopprattutto sulle abilità cognitive. Si conducono test di ogni genere per misurare l'intelligenza di un ragazzino da un punto di vista logico, matematico o di generica misurazione del quoziente d'intelligenza. Ma come si misurano tratti di personalità importanti come l'altruismo, la socievolezza, la motivazione, l'autocontrollo, la capacità di lavorare con gli altri, la timidezza? Quanto è importante rafforzare sul piano psicologico la sicurezza in stessi? Se questi tratti del "carattere" non vengono incoraggiati fin dalla prima infanzia, spariscono, e al loro posto si sostituiscono criminalità, truffe, apatia, nascite fra gli adolescenti. Con danni incalcolabili per lo sviluppo economico e per la tenuta del tessuto sociale. La posta in gioco come vede è molto elevata.

Che ruolo gioca o ha giocato in tutto questo la crisi?
Credo che la crisi ci riporterà sulla buona strada: già oggi ci rendiamo conto che un certo andazzo degli anni passati - la cultura degli eccessi, dell'arroganza, dell'avidità, della corruzione - ha dominato molti strati della società, creando una forte polarizzazione. E forse siamo diventati ancora più avidi negli ultimi dieci anni: gli incentivi, che ormai conosciamo bene, gli orizzonti di breve termine per raggiungere certi obiettivi, oggi sono chiaramente criticabili. Negli ultimi anni vi sono state molte opportunità di fare molti soldi, ma in un contesto di mancanza di regole che diventa dunque pericoloso. Ma l'idea che l'origine di questo guaio, di questa grande crisi, sia da ricercarsi nello spirito animale, come suggeriscono Akerlof e Shiller, secondo me è follia.

Perché?
Perché la crisi del 2007/2009 non è dovuta alla crisi psicologia collettiva o alla costante di uno spirito animale, un aspetto presente nell'uomo dall'inizio del tempo. Piuttosto dobbiamo spostare l'attenzione su un secondo aspetto, in aggiunta ai valori, che riguarda la natura dello sviluppo umano. È importante capire il mondo moderno e dobbiamo cercare formule per far interagire sia il patrimonio genetico sia l'ambiente. Esistono identità multiple che originano e producono opportunità nella nostra società e aiutano a sostenerla: può essere quella di un individuo nero, americano e maschio. Ciascuna caratteristica è rappresentativa di un'identità diversa e questa molteplicità d'identità, se sostenuta, arricchisce e aiuta la società.

C'è anche chi vuole partire dalla ricerca della felicità...
È vero, ci sono studi di vario genere sulla felicità collettiva e degli individui come punto di riferimento, anche psicologico per organizzare certe dinamiche economiche. Il problema secondo me è che la definizione di felicità è molto difficile, molto soggettiva. Mi spiego: non c'è una dimensione che si chiama felicità, che possiamo identificare con dei parametri per poi trovare gli strumenti per entrarci. C'è invece uno stato mentale che porta all'azione e alla felicità come fatto singolo e questo è molto diverso. Potremo andare indietro nel tempo, pensiamo a Stuart Mill con la sua idea dell'utilitarismo e della ricerca della felicità attraverso il piacere; a Nietzsche che immaginava un percorso per trovare la felicità magari attraverso la sofferenza, ma non come una meta definita... Dal mio punto di vista l'analisi della felicità rischia di essere superficiale. E dunque preferisco restare nel mio territorio.

  CONTINUA ...»

29 maggio 2009
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